sabato 25 maggio 2013

Luigi Angeli. "L'Illustration" e la Campagna d'Italia del 1859. 3/3



“L’Illustration”  e la Campagna d’Italia del 1859. 3 (fine)


La prima vittima nella guerra è la verità. L’immagine della guerra ha una lunga storia e la letteratura di argomento bellico è nata insieme alla guerra stessa. L’epica dell’Iliade di Omero (secc.IX-VIII a.C) è l’origine dell’interpretazione eroica della guerra: quella di Troia può essere considerata la guerra madre della civiltà occidentale. Soltanto gli eroi possono determinare le sorti di un conflitto, purché gli dei siano loro favorevoli. La rappresentazione visiva della guerra ha cominciato ad evocare, timidamente, l’azione, il pericolo e la sofferenza solo con il Rinascimento: sono le battaglie famose di Leonardo (Battaglia di Anghiari, 1505), di Piero della Francesca ( Battaglia di Costantino e Massenzio, 1458 ca.) e di Paolo Uccello (Battaglia di San Romano, 1435-1440). Comunque, i maestri del Rinascimento e i loro allievi non riuscirono a superare le barriere della tradizione. I guerrieri erano eroi e le battaglie rimasero meravigliose composizioni formali in onore dei loro committenti.  I primi esperimenti di rappresentazione documentaria della guerra apparvero con la Rivoluzione Francese e l’impero napoleonico. Sono le 83 acqueforti di Francisco Goya , Los Desastres de la Guerra, incise tra il 1810 e il 1820, che denunciano le atrocità compiute dai soldati francesi per soffocare le aspirazioni libertarie degli spagnoli. Queste “gravures” verranno pubblicate per la prima volta, ad eccezione di tre lastre, nel 1863, dopo la morte di Goya, avvenuta il 16 aprile 1828 a Bordeaux. Lo stimolo di trasmettere la realtà della guerra con la pittura sopravviverà e continuerà a ispirare artisti come Yvon, Beaucé, Vernet, Pietro Tetar van Elven, in Francia, Menzel in Germania, Ademollo, Bossoli, Fattori, Joli, in Italia. Ma fu con la diffusione dei giornali, soprattutto in Inghilterra e Francia attraverso le celebri testate quali The Illustrated London News e L’Illustration. Journal Universel che si afferma un giornalismo di carattere mondano e commerciale di grande consumo, espressione dei ceti dominanti. Anche i giornali che, a partire dalla metà del secolo XIX, aumentarono bruscamente di numero e tiratura, erano legati alla tradizione della lettura pubblica, della discussione comune e, dunque, ad una forma collettiva. Poiché, a causa del livello della tecnica tipografica prima del 1850, erano cari, venivano generalmente acquistati in abbonamento, oppure consultati nei caffè o nelle sedi di società di lettura. Oltre ai nobili, che leggevano e discutevano tra loro nei salotti, oltre ai circoli borghesi dei commercianti, le società di lettura consentivano a loro volta, a pagamento, l’accesso alle informazioni. La linea editoriale dell’Illustration, elaborata da Charton, Paulin e Dubochet è quella di un giornale apolitico e neutrale. “L’Illustration non è una tribuna politica; la sua unica ambizione è quella di riflettere, come uno specchio fedele, gli uomini e le cose del suo tempo, nell’interesse dei suoi lettori attuali e per l’educazione di questi, che avranno il compito di rivedere, controllare, più tardi, le pagine scritte senza altra passione che quella per la verità” (L’IJU, “Prefazione”, tomo IV, primo marzo 1845).
Nonostante i redattori rivendichino una neutralità politica, la rubrica Histoire de la semaine (Storia della settimana), articolo di fondo del direttore J.B.Paulin, esprime, nella scelta dei soggetti, degli articoli culturali e nel loro trattamento, la volontà di mantenere lo status quo, ovvero un accordo tacito con le classi emergenti. La costruzione della rete ferroviaria, la tipografia, il telegrafo o la fotografia, i viaggi, la colonizzazione, le catastrofi naturali, sono l’oggetto di numerosi reportages e testimoniano l’attenzione per il progresso tecnico e le innovazioni tecnologiche. Centrale su tutto l’immagine.  Le incisioni sono selezionate secondo il loro potere di seduzione. Prima di istruire il lettore, le illustrazioni devono affascinare e suscitare l’interesse a comprare il giornale. L’immagine è intesa come un modo di conoscere le varie forme del sapere.
Per alimentare il bisogno di informazioni, il settimanale trasforma dei fatti in eventi consumabili: l’immagine è un criterio di selezione che orienta la scelta editoriale. Se il disegno arriva troppo tardi per essere stampato, l’avvenimento non è segnalato. In questo quadro, le incisioni da fotografie costituiscono una fonte iconografica supplementare e il loro valore d’informazione non è superiore a quello del disegno. Sotto il secondo impero di Napoleone III (1852-1870), l’illustrazione appare come uno dei mezzi per acquisire nuove quote del mercato dell’industria culturale francese, nonché del consenso politico. Per questo motivo è necessario controllare. La costituzione del 1852 non parla di stampa; è per decreto che Napoleone III intende controllarla. I decreti del 17 e del 23 febbraio 1852 sono semplici e lineari: nessun giornale può essere pubblicato senza l’autorizzazione del governo (autorizzazione rinnovabile nell’occasione del cambiamento del redattore capo, per esempio, o del gerente); tutti i quotidiani pagano una cauzione (eccetto i giornali o riviste letterarie, scientifiche, artistiche); un diritto di bollo di sei centesimi per numero. Inoltre, il decreto, individuò la figura del direttore responsabile, ossia di una persona che doveva rispondere dei contenuti degli articoli, distinta dall’editore-tipografo. La legislazione francese prevedeva la possibilità di applicare una censura preventiva per l’apertura di nuovi giornali, d’altro canto operò una distinzione fondamentale tra i “reati di stampa”, che consistevano nella pubblicazione di giornali senza autorizzazione, e i reati “a mezzo stampa” scaturiti da una qualche forma di offesa (diffamazione, oltraggio all’imperatore, ingiuria, attentato contro le leggi e la morale). Sul piano pratico il decreto prevedeva il pagamento delle infrazioni entro tre giorni dalla notifica; la soppressione del giornale per la somma di due condanne entro due anni. L’arma più insidiosa era l’ammonimento: due ammonimenti significano la sospensione del giornale per un tempo indeterminato (dunque una diminuzione della tiratura del giornale). Malgrado questa sorveglianza poliziesca, la stampa conosce una diffusione considerevole. Nel 1852, a Parigi, si contano 14 quotidiani politici per un totale di 200.000 abbonati. La maggior parte sono finanziati dal regime, a cominciare dal Le Moniteur, giornale ufficiale dell’impero. Ugualmente sostenuti dal governo, Le Cositu-tionel e Le Pays, ritenuti testate di sinistra, che si pongono al servizio di Napoleone III. I due giornali sono stati riscattati da Jules-Isac Mirès, uno dei grandi finanziatori del secondo impero. Egli acquista e rivende le concessioni della ferrovie, in Francia, in Italia e Spagna, gli altiforni, i terreni a Marsiglia e gli immobili a Parigi.
“L’Illustration” e la guerra del 1859. L’appoggio della Francia al Regno Sabaudo, durante la seconda guerra di indipendenza, suscita grande interesse nell’opinione pubblica transalpina. La redazione del settimanale l’Illustration vede l’opportunità di fare un grosso investimento finanziario per conquistare sempre più larghe fasce di lettori ansiosi di partecipare a questo grande avvenimento politico, militare e mediatico. Si profila dunque uno dei primi reportages sullo sfondo dei principi di libertà, di autonomia, tanto agognati dagli intellettuali italiani moderati e soprattutto da Cavour. Accanto a pittori, disegnatori e incisori, quali i Durand, i Beaucé, i Tetar van Elven, i Gaildrau, i Férat, i Giacomelli, i Marc, i Lange, i Provost, i Pontremoli, i Worms, i Rouargue, si dedicarono alla cronaca illustrata caricaturisti celebri come Cham, Gavarni, Stop, Bertall. A questa schiera di artisti dobbiamo aggiungere grandi fotografi prestati al disegno, come Clifford, Chambay e Lecorgne, Crette, Disdéri, Duroni, Irvoy, Le Gray, Mayer e Pierson, Capitano Pellé, Richebourg, Tournachon (Jeune). Vengono inviati, a seguito dell’Armata di Francia, noti corrispondenti di guerra, quali De La Varenne, Ferré, Paulin J.B. e Paulin Victor, Joubert, Rosier, Forey, Texier, Avriard, Quesnoy. A questi si aggiungono altri artisti e scrittori, meno noti, ma veri professionisti nel loro campo. L’elenco sarebbe notevole. Ovviamente questo grande staff, messo in piedi dalla redazione del giornale, punta soprattutto alla rappresentazione iconografica della guerra: dal disegno all’incisione, avvalendosi, in qualche caso, della esordiente fotografia Non si può considerare una vero reportage, un’inchiesta fotografica nel vero senso della parola, ma ha tutti crismi per diventarlo. I corrispondenti agiscono sul terreno operativo, seguendo gli spostamenti delle truppe, per quanto viene loro concesso dalla censura militare, e inviano i loro dispacci, le loro lettres alla redazione del giornale, che ovviamente li pubblica non in tempo reale, pur avvalendosi del telegrafo e delle ferrovie. In effetti le inchieste affidate dai grandi giornali ai corrispondenti, agli inviati, erano condannate ad avere un pubblico ristretto, perché la stampa di riviste illustrate con fotografia, erano troppo costose e continuava ad essere un’eccezione, mentre l’inserimento della foto vera e propria nel giornale fu ritardato dalla tradizionale preferenza per disegni e incisioni. Per capire il taglio sia delle corrispondenze, sia che delle gravures dell’Illustration, basta rileggere la pubblicità che serpeggia in molti numeri del settimanale: “ Gli editori dell’Illustration annunciano, per i primi giorni del mese di novembre del 1859, la messa in vendita di un’opera che riguarda la “guerre d’Italie”. La campagna d’Italia, così gloriosa per la Francia, merita che il suo ricordo venga conservato per gli eroici sforzi dell’armata che, sotto la guida dell’Imperatore, ha fatto rivivere la gloria militare del primo impero. […] Molte di queste incisioni sono tratte dall’album del Sig.Valentin Jumel, capo di stato maggiore, e sono di proprietà dell’Imperatore”.
Le parole più ricorrenti nelle corrispondenze dall’Italia sono eroismo e gloria, come in questa reiterante pubblicità. La guerra rappresentata dai disegnatori, dagli incisori del settimanale francese è priva di spessore realistico, atemporale.  Come dice Massimo Dini, giornalista de Il Sole 24 ore, Panorama e L’Europeo, inviato corrispondente nelle aree più degradate del mondo: “I governi, i grandi potentati politici ed economici hanno tradizionalmente cercato di fornire al “popolo” una rappresentazione addolcita o eroica della guerra. I media (partendo dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, quando il giornale negli Usa cominciava a diventare alla portata di tutti o quasi) si sono spesso adeguati ricorrendo a formule scritte e visive che, almeno quanto a meccanismi di fondo, non differiscono molto da quelle attuali. In sintesi, la guerra viene spettacolarizzata, ridotta a fiction, svuotata di realtà. All’epoca, nel 1859, per quanto riguarda la Francia, la guerra è raccontata iconograficamente come fosse un evento da palcoscenico, una perfomance operistica o teatrale. Il cosiddetto “teatro di guerra”, inteso come zona delle operazioni belliche, si trasforma in un teatro della guerra. Osservando le stampe de L’Illustration, dove sembra di assistere a una messinscena con molti movimenti corali, rare scene di morte (caratterizzate da gesti enfatici, recitativi) e molti scenari idilliaci, illusionistici come lo sono le quinte teatrali, tornano alla mente capolavori come “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo”.  I re, i principi, i grandi generali (vedi tav.1) erano rappresentati a cavallo coperti di pennacchi, di fregi e nastrini, come grandi moschettieri. Gli uomini in battaglia dipinti come eroi che morivano con le armi in pugno levate verso l’alto, verso la dea gloria. La carica della cavalleria che travolge il nemico, l’aggressività feroce degli zuavi che annichiliscono gli austriaci, sono i soggetti preferiti dai disegnatori e dagli incisori. Le battaglie sono viste come “opportunità eroiche” inviate dal destino per premiare il coraggio delle truppe. Non c’è posto per la paura, per la vigliaccheria. Niente verità, ma solo una “semplice mediazione” della realtà, per rappresentarla come faceva comodo ai re e ai governi, perché la guerra apparisse alle masse un fatto necessario, ineluttabile, da vivere con onore e non come crudele massacro al servizio degli interessi di altri. Le corrispondenze dei vari inviati, Paulin, De la Varenne, Quesnoy, Ferré, sono pure descrizioni militaristiche, spostamenti di truppe, attacchi, fughe del nemico, vittorie inconfutabili, dove la morte è solo un esercizio aritmetico e il dolore non trapela mai. I morti sono dei manichini pronti per il disegnatore di Magenta (tav.3). La propaganda prende il sopravvento nella mitologia della bontà verso gli sconfitti, verso i feriti. Perfino la simpatia dei viennesi verso i prigionieri francesi e piemontesi, rinchiusi nella Franz-Josef Kasserm (tav.4). Un’aureola di sacralità copre la nuda verità dei massacri, dei corpo a corpo nelle case di Magenta, ma è all’opera la censura, la provvida censura che impedisce ai corrispondenti e ai disegnatori di essere sul posto per descrivere la realtà. Lo stato maggiore piemontese, in forza della legge del 25 aprile 1859:  Art.1. E’ vietata d’or innanzi e durante la guerra la pubblicazione, per mezzo della stampa o di qualsivoglia artificio meccanico atto a riprodurre il pensiero, di notizie, relazioni o polemiche che in qualunque modo si riferiscono agli Eserciti o all’andamento della guerra, e che non siano ufficialmente comunicate o pubblicate dal Governo. Art.4. I contravventori agli articoli precedenti sono puniti col carcere da sei giorni ad un anno, e colla multa da lire 100 a 1000, oltre il sequestro degli scritti e stampati.Il comando francese pubblica invece, una notifica con la quale si vieta ai fotografi e ai cronisti di ritrarre i soldati sul campo di battaglia o nei ricoveri di fortuna, pena la confisca degli apparati e dei disegni, e la condanna ai lavori militari per tre mesi. L’armata francese porta con sé una stamperia ambulante (tav.4) per narrare, secondo i canoni della propaganda imperiale, che tutto è sotto controllo. I bravi borghesi possono attendere ai loro affari in santa pace. La guerra li farà ancora più ricchi e potenti. I comandi militari sono provvisti di uffici stampa e censura che curano i rapporti con la stampa, selezionano le foto da pubblicare, censurano le corrispondenze dei giornalisti nelle zone di guerra.  Ma i divieti non fermano la verità. Una verità amara sulla carneficina di Solferino dove giacciono, alla fine della battaglia, quarantamila morti e centomila feriti rimasti senza assistenza. In quella zona si trova Jean Henry Dunant, uomo d’affari ginevrino, che rimane atterrito dai drammatici esiti della ferocia dei combattimenti. Successivamente il suo impegno, profuso sul campo, nell’ambito dell’assistenza ai feriti, culminerà nella fondazione della Croce Rossa Internazionale. La sua testimonianza dolorosa, raccontata nel libro Un ricordo di Solferino, ci svela la nuda verità degli orrori della guerra. “A San Martino, un ufficiale dei bersaglieri, il capitano Pallavicini, è ferito; i suoi soldati lo raccolgono tra le loro braccia, lo trasportano e lo adagiano in una cappella dove riceve le prime cure. Ma gli Austriaci, momentaneamente ricacciati, ritornano alla carica e penetrano nella chiesa: i bersaglieri, troppo poco numerosi per resistere, son costretti ad abbandonare il loro comandante; di lì a poco alcuni Croati, dando piglio a grosse pietre che si trovano presso la porta, spaccano la testa al povero capitano. In mezzo a questi combattimenti, così diversi e senza quartiere, che dappertutto si rinnovano, si sentono imprecazioni uscire di bocca di uomini delle più diverse nazionalità, molti dei quali sono costretti ad essere omicidi a vent’anni (p.32) […]. Il sole del 25 (giugno, ndr) illuminò uno dei più orrendi spettacoli che si possano immaginare. Il campo di battaglia è coperto dappertutto di cadaveri e di carogne; le strade, i fossati, i dirupi, le macchie, i prati sono disseminati di corpi senza vita e gli accessi a Solferino ne sono letteralmente punteggiati. I campi sono devastati, il grano e il granoturco sono abbattuti, le siepi sconvolte, orti e giardini messi a sacco; di tratto in tratto s’incontrano pozze di sangue. I villaggi sono deserti e portano il segno dei guasti operati dalla fucileria, dai razzi incendiari, dalle bombe, dalle granate e dagli obici; le mura sono sconquassate e sbrecciate, le case sforacchiate, lesionate, piene di crepe; gli abitanti, che hanno trascorso circa venti ore nascosti al riparo nelle cantine, senza luce e senza viveri, cominciano a uscirne con un’espressione di stordimento che attesta il terrore lungamente sofferto (p.42) . […] Altri sono inquieti e agitati da un tremito convulso, in stato di collasso nervoso; altri ancora, con le piaghe aperte su cui ha già cominciato a svilupparsi l’infezione, sono come pazzi di dolore, chiedono di essere finiti e si contorcono, con il viso contratto, negli ultimi spasimi dell’agonia ( p.43). […] “Tra i morti, alcuni soldati hanno un aspetto sereno e sono quelli che, colpiti d’improvviso, sono rimasti uccisi sul colpo; ma moltissimi caduti sono rimasti contraffati dalle torture dell’agonia, con le membra irrigidite, il corpo chiazzato di macchie livide, le mani affondate nel terreno, gli occhi smisuratamente aperti, i baffi irti, una smorfia sinistra e convulsa che lascia vedere i loro denti serrati “(p.46). […] Sparsi a migliaia sui poggi, sui contrafforti, sulle sporgenze collinose, dispersi tra le macchie e i boschi o nella campagna e nella piana di Medole, vestiti di lacere casacche di tela, di cappotti grigi lordi di fango o di giubbe bianche tutte arrossate di sangue, i cadaveri degli Austriaci sono divorati da sciami di mosche e gli uccelli da preda si librano su quei corpi verdastri, nella speranza di cibarsene; li si ammucchia a centinaia in fosse comuni (p. 47) […] In parecchi punti il panico s’impadronisce delle truppe tedesche, e per alcuni reggimenti la ritirata si trasforma in rotta completa; invano gli ufficiali, che si sono battuti come leoni, cercano di trattenerli; le esortazioni, le ingiurie, i colpi di pistola, nulla li arresta: il loro spavento è troppo grande e, pur essendosi battuti con coraggio, preferiscono lasciarsi colpire e insultare piuttosto che rinunciare alla fuga ( p.37).
Questi resoconti nei bollettini ufficiali degli stati maggiori degli eserciti belligeranti non ci sono. Ci sono le immagini rassicuranti dei feriti francesi che pescano sul lago di Como ( tav.7) che testimoniano, in modo mistificatorio, che la guerra può riservare anche momenti piacevoli a coloro che il destino ha voluto graziare. Questa è l’immagine tranquillizzante che Napoleone III vuole mandare ai francesi, ignari dei costi umani che la campagna d’Italia ha comportato. Solo un piccolo squarcio sulle atrocità che la guerra riversa sui civili è il massacro della famiglia Cignoli, avvenuto il 12 giugno a Torricella, presso Voghera, da parte delle truppe del feldmaresciallo Urban (v. L’IJU, n.852, 25 giugno 1859).
“Quando inizia una guerra la prima vittima è la verità.” Non so chi l’ha detto, forse Eschilo o Iram Johson, ma non ne ho sentite di più vere. Montagne di falsità annegano l’opinione pubblica ogni qualvolta scoppia una guerra. Mistificazioni e ipocrisie prefabbricate dagli addetti alla comunicazione di massa e veicolate dai corrispondenti di guerra al servizio del potente di turno.  Gli inviati, i reporters fanno un lavoro difficile che non ammette mediazioni tra notizia e verità. Lippmann in un suo saggio (L’opinione pubblica, parte VII, I giornali, p.13), apparso in America nel 1922, ma tradotto in Italia solo nel 1963, analizza la separazione fra la verità e la notizia. “L’ipotesi più feconda è che la notizia e la verità non siano la stessa cosa, e debbano essere chiaramente distinte. La funzione della notizia è di segnalare un fatto, la funzione della verità è di portare alla luce i fatti nascosti, di metterli in relazione tra loro e di dare un quadro della realtà che consenta agli uomini di agire. Solo là dove le condizioni sociali assumono una forma riconoscibile e misurabile, il corpo della verità e il corpo della notizia coincidono”. Solo in questa prospettiva i corrispondenti possono cogliere il senso degli avvenimenti a cui assistono. E tuttavia, poiché i loro resoconti sono sempre avvincenti, finiscono per incidere solchi profondi nella memoria collettiva che le successive analisi storiche e sociologiche non sempre riescono a colmare eliminando il pregiudizio e le falsità.                                                              
Un disegnatore de “L’Illustration” sul campo di battaglia di Magenta. Al sig. Edmond Texier, Un disegnatore de L’Illustration, in una lettera indirizzata da Magenta al Siècle, alla data del 6 [giugno], si esprimeva così: “La vista del campo di battaglia ci ha particolarmente scombussolati. In capo a 10 minuti, ho provato, da parte mia, un vivo desiderio di andare via, e ho chiuso gli occhi per non vedere tutti questi visi cinerei, contratti dal dolore, prima della morte. Un uomo, coperto da un kèpi era tranquillamente seduto su un rialzo del terreno e disegnava, in pieno sole, questa scena di dissoluzione. Mi sono avvicinato e ho riconosciuto in lui il sig. Giacomelli, uno dei più coraggiosi disegnatori de L’Illustration.” Noi abbiamo, in effetti, ricevuto, dal nostro corrispondente, un disegno del campo di Magenta dopo la battaglia. Rappresentava, a tinte spaventose, l’aspetto dei luoghi, con gli orrori che la guerra aveva prodotto: i raccolti calpestati, le vigne sradicate, i resti della battaglia confusamente sparsi: uomini, cavalli e armi. Questa pittura realistica scuote in maniera viva i sentimenti, già provati, che il sig. Texier ha così ben descritto nella sua lettera e dai quali cercava di fuggire. Ci è sembrato che fosse un triste supplemento da aggiungere al glorioso bollettino della vittoria di Magenta, e, per questo motivo,non l’abbiamo pubblicato. Tutti sanno a quale prezzo si conquista la gloria militare, ma almeno non bisogna che delle immagini strazianti sviliscano ciò che c’è da amare nella più bella vittoria. Siamo dell’avviso del sig. Amédée Achard, corrispondente del Journal des Débats che ha provato, alla vista del campo di battaglia di Magenta, le stesse impressioni del sig. Texier: “I quadri rappresentano con arte questo spettacolo di lutti dove il sangue scorre a fiotti, e mescolano l’azione e la vita in queste feste della morte. Essi animano i volti, si vedono soltanto gli sforzi supremi del coraggio e ci si interessa solo dell’eroismo. Ma un campo di battaglia dove il silenzio è maestro e dove solo la solitudine è presente … ah, quale affresco!”
Alcuni lettori potrebbero rimpiangere la triste verità che avrebbe mostrato anche solo una parte del quadro del sig. Giacomelli, ma la descrizione scritta del sig. Texier è sufficientemente precisa e fedele da renderlo inutile. A coloro che amano una fredda tragedia, noi facciamo vedere dove il campo di battaglia inizia; se vogliono andare oltre possono aiutarsi con l’immaginazione e i reportages già pubblicati.
La tipografia ambulante dell’Armata d’Italia. Tutti i giornali hanno parlato della stampa dell’armata d’Italia, organizzata secondo gli ordini dell’Imperatore dal sig. de Saint Georges, direttore della stampa imperiale. Questa stampa è la stessa che funzionò in oriente durante tutta la durata della guerra di Crimea. Essa è installata dentro un furgone speciale, nel quale si può comporre e stampare anche durante la marcia, nei casi di urgenza. L’esperienza dimostra che un tipografo e due compositori, che costituiscono tutto il personale, sono sufficienti a tutte le necessità. L’interno di questo furgone è disposto in modo da contenere tutto: le casse, la stampa e i suoi accessori, la scorta della carta, l’acqua per la macerazione, i retini, i distanziatori, ecc., in una parola è un laboratorio completo di tipografia racchiuso nello spazio più ristretto, dove tutto è al suo posto, e che ha il vantaggio di seguire tutti i movimenti dell’esercito, anche i più rapidi.
“Abbiamo letto in molti giornali un servizio interessante sull’accoglienza dei nostri prigionieri a Vienna, prima della firma della pace, ma a Vienna si era a conoscenza dei trattamenti di benevolenza francese verso i prigionieri austriaci. Malgrado fosse stato affermato che i francesi erano violenti, la realtà era che, invece, la Francia vittoriosa non aveva rinunciato alle sue abitudini più dolci, la sua pietà è testimoniata dal suo atteggiamento verso i nemici vinti. Gli abitanti di Vienna non hanno voluto mostrarsi meno caritatevoli. La lettera e il disegno che seguiranno sono la prova di questa reciprocità generosa. Oggi, che i vincitori hanno abbracciato i vinti, sembra che il fatto non sia straordinario, ma, ripeto ancora una volta che accadeva prima della pace e dopo Solferino. Ecco la lettera del nostro corrispondente da Vienna. “Signore, Il disegno che vi invio mostra che la popolazione austriaca è stata sensibile ai racconti dell’accoglienza fatta in Francia ai nostri prigionieri di guerra. I prigionieri franco-sardi, rinchiusi per qualche ora nella Franz-Josef Kasserme, sono stati da parte della popolazione viennese oggetto della più toccante simpatia. Il mio disegno vi mostra la vera situazione. Tutto ciò che può addolcire il destino doloroso di queste vittime della guerra è stato loro offerto con premura. Denaro, sigarette in quantità, tabacco, viveri, birra, perfino dei mazzolini di fiori hanno riempito gli zaini dei soldati, calati dalle finestre per mezzo di funi e ritirati con dentro queste provviste. Le signore, i bambini, gli uomini di tutte le classi sociali, i soldati in attività, gli invalidi del nostro primo impero si fanno dovere di offrire ai nostri soldati queste testimonianze della loro pietà caritatevole. L’Illustration, pubblicando il mio disegno ci darà una notizia che è il segno della sua imparzialità in favore di un nemico che sa onorare le virtù eroiche dei suoi avversari. Ricevete, signore, F: Kanitz. Ringraziamo il nostro eccellente corrispondente inviandogli una copia di questo numero dove la Francia e l’Austria si abbracciano come due nemici riconciliati.” (V. Paulin n. 856, 23 luglio 1859)
“L’Armata francese d’ Italia. Il gioco del lotto a Piacenza – Il gioco della pesca a Como. Al signor direttore de L’Illustration. Signore, il momento non è dei migliori per raccontare le impressioni occasionali del viaggio. Il turista che percorre l’Italia ritrova dappertutto le stesse situazioni, e si può dire anche gli stessi uomini. Non c’è che un solo sentimento e una sola nazione. Tutti i pensieri, tutti gli interessi sono volti verso un unico obiettivo: l’indipendenza italiana. […] A Piacenza, dove sono passato, l’esercito francese era ben rappresentato. Tremila dei nostri feriti erano stati portati in questa città e suddivisi in sei ospedali. Si contano ancora dal 500 a 600 malati. Sotto l’impressione dei ricordi dolorosi che fa nascere la presenza di queste bravi soldati, Piacenza mi è sembrata ancora più tetra. Sono stato testimone di una scena di cui non avevo nessuna idea e che mi ha fatto dimenticare la tristezza della città. […] La folla, in mezzo alla quale si vedevano numerosi militari francesi, cittadini di Piacenza, uomini e donne del popolo, presentava una piacevole mescolanza. Un abate, che aveva una cartella, mi ha voluto spiegare il gioco. E’ una tradizione sia italiana che francese fare beneficenza con la lotteria; ma, mentre le nostre lotterie durano alcuni anni, in Italia il risultato della lotteria si conosce subito. […] Tutto ciò non assomiglia granché a una scena naïf di cui io fui testimone a Como. Questa città ha ricevuto anche molti dei nostri feriti, che sono stati alloggiati in una bella villa utilizzata come ospedale. Sapete, senza dubbio, che gli abitanti di Como hanno la reputazione di essere eccellenti soldati. I nostri bravi feriti sono dunque in buone mani. Non ci sono parole per descrivere questa bella città e la magnificenza del lago; sulle colline che lo circondano si innalzano delle deliziose ville appartenenti, nella maggior parte ai ricchi abitanti di Milano. Dalla deliziosa passeggiata, l’Ulmo o l’Ormoie, si gioisce dei più bei punti di vista che si possano immaginare. I nostri convalescenti alloggiano dunque a Como in eccellenti condizioni. Disgraziatamente le nostre truppe non sono formate da poeti amanti del lago, ed hanno ben presto esaurito la loro ammirazione per le bellezze della natura; l’inattività li ha portati a diventare pescatori. Non immagino un’attività più svilente per il carattere bellicoso dei nostri soldati. Feu Coupigny assicurava che per diventare un buon pescatore, se non era troppo tardi, la qualità essenziale era di essere un buon diplomatico. Ciò deve intendersi, forse, come possedere flemma e predisposizione al silenzio.  Siate dunque francesi e pescatori in linea; a questo compito! Ebbene, signore, sono stato molto colpito nel vedere i nostri convalescenti occupati in questa innocente attività. Ci sono due lati del nostro carattere: da una parte l’ardore che apportiamo alla guerra e che proviene dal sentimento dell’onore e della gloria, dall’altro l’amabilità delle nostre abitudini. Ho pensato, signore, che i due disegni che vi invio, e che ho fatto fare, su vostra richiesta, da due artisti desiderosi di piacere ai vostri lettori, avrebbero riscosso se non un grande interesse e curiosità, almeno un certo apprezzamento. Gradite, signore… (G. Avriard Parigi, n. 865, 24 settembre 1859 )
“Morte di Alexandre Paulin (2 novembre 1859). Venerdì scorso hanno avuto luogo, nella chiesa dei Piccoli Padri, le esequie del Signor Paulin, capo redattore. Tutti gli amici dell’eccellente uomo che abbiamo perduto sono venuti per rendergli gli ultimi onori. Nella folla delle persone che riempivano la chiesa si distinguevano: I Signori  Thiers, Mignet, de Rémusat, Cousin, Emile Péreire, Littré, Barthelemy Saint-Hilare, Stourm, direttore generale delle poste, il dottor Cruvelhier, Horace Vernet, Ambroise e Hyacinthe Firmin, Didot padre e figli et Henri Didot, il generale Morris, A. d’Eichtall, Gavarni, Vincent e Jacques Dubochet, Bastide, Buchez, Bixio, Edmond Texier, Jules Janin, Mazerès, D. Nisard, Théodore e Ferdinand de Lesseps, Jules Simon, Guinard, Regnier du Theatre-Francaise, L.Reybaud, Cauchois-Lemaire, Taschereau, Fellman, F. Lacroix, Ch. Thomas, Pelletan, C. Gide, Géruzez, Prévost-Paradol, Viardot, Degousée, Peyrat, Tax. Delord, Etienne, Charton, Trémisot, tesoriere della città di Parigi, A. Grun, Hingray, Guyot, Sionnest, Paillard de Villeneuve, Thierry, Tourneux, Souverain, Plon, Michel Lévy, etc. La maggior parte dei giornalisti di Parigi ha sentito il dovere di seguire il corteo funebre. Il figlio del sig. Paulin e la signora A. Dumont aprivano il corteo, sostenuti dal sig. Armand Le Chevalier e dai redattori e artisti disegnatori de L’illustration. E’ toccato soprattutto al nostro collega più anziano, sig. Philippe Busoni, l’onere di esprimere il dolore che è nel cuore di noi tutti collaboratori del sig. Paulin, che abbiamo perduto, nello stesso tempo, un amico dolce e disponibile, e un maestro saggio i cui suggerimenti e consigli ci sono stati sempre utili. Il sig. Busoni, ispirato dal suo dolore, ha trovato un’eloquenza degna dell’uomo di cui elogiava la vita e il carattere. Delegando al nostro collaboratore la responsabilità di compiere questo pietoso dovere, sapevamo quello che dovevamo aspettarci dalla nobiltà del suo cuore e dal fascino della sua parola. Riproduciamo qui il discorso che è stato ascoltato con un raccoglimento profondo. “[…] Entrò presto nella carriera militare per lasciarla dopo poco, per buttarsi nella mischia delle lotte politiche e delle questioni pubbliche. […] Non abbiamo dimenticato i suoi importanti articoli scritti per il National. Fu anche redattore assiduo e molto importante de L’Illustration, che aveva fondato e diretto. La stampa parigina si unisce al cordoglio e noi citeremo l’articolo di Edmond Texier del Siècle: “Paulin apparteneva alla brillante generazione che salutò con grande entusiasmo la rinascita della libertà. I suoi studi di diritto, appena terminati, furono compromessi dalla cospirazione di Belfort, dove fu arrestato, imprigionato e condotto davanti alla corte d’assise dell’Alto Reno che lo rimise in libertà. Un po’ più tardi fondò, con Thiers, Mignet e Carrel il National, di cui fu il responsabile fino al 1834, che abbandonò solo alla morte di Carrel: si accontentava di pubblicare, ogni tanto, nel giornale, qualche articolo molto acuto, molto spirituale e molto pungente. Nei primi anni del governo del 1830 fu portato alla sbarra della corte dei Pari; e un procuratore generale che più tardi doveva diventare ministro di giustizia, si lasciò trasportare dalla foga del suo temperamento irascibile al punto da chiedere la sua condanna a morte. Ci fu un immenso scoppio di risa, e Paulin rideva anche lui più forte dei suoi giudici, che gli lasciarono la testa sulle spalle e lo assolsero. Quello che c’era di particolare e di raro nel carattere di Paulin, era il fervore dei suoi convincimenti politici. Le sue amicizie con molti capi dell’opposizione liberale, soprattutto con Armand Carrel, lo destinarono ad essere fondatore e collaboratore del National. La sua opera più importante, però, fu L’Illustration, che fondò nel 1843 e che diresse fino alla morte.  Il mondo della stampa ha perso un uomo onesto, il liberalismo piange un soldato leale, la letteratura rimpiangerà per sempre uno scrittore senza arroganza, che ha potuto avere, sì, degli invidiosi, ma mai dei nemici.  Ferré  (Parigi, n.872, 12 novembre 1859)











   
                    


                                 Luigi Angeli










Bibliografia:



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Settimelli W., La storia avventurosa della fotografia, Roma, Editrice Fotografare, 1969
Sontag S., Davanti al dolore degli altri, Milano, Mondadori, 2003


Parti precedenti:

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